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Responsabilità medica. Il danno biologico tra inabilità temporanea e postumi invalidanti

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In presenza di una lesione all’integrità psico-fisica della persona c’è spesso molta confusione sulle voci di danno astrattamente risarcibili. Si sente parlare di danno patrimoniale e non patrimoniale, di danno biologico, morale, esistenziale, estetico, danno alla vita di relazione, ecc.

Tralasciando per un momento l’area del danno patrimoniale – che, nel caso di pregiudizio alla salute, potrà tradursi in spese di viaggio, spese per esami clinici e strumentali, oltre al mancato guadagno per il riposo forzato dall’attività lavorativa – la categoria del danno non patrimoniale riguarda in primis il DANNO BIOLOGICO, a sua volta da differenziare in postumi invalidanti e inabilità temporanea.

Per DANNO BIOLOGICO deve appunto intendersi la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito.

All’interno della categoria “danno biologico”, occorre distinguere:

  • I postumi invalidanti che, proprio per il fatto di collocarsi cronologicamente in un tempo successivo rispetto ad un pregresso diverso stato patologico, sono considerati inemendabili, cioè permanenti;
  • La inabilità temporanea (assoluta o parziale, a seconda della percentuale di incidenza) che consiste nel periodo di incapacità ad attendere a qualsiasi attività (inabilità al 100%) o soltanto ad alcune attività (inabilità parziale, la cui percentuale può variare dal 75%, al 50% o al 25%) della vita quotidiana. Tale situazione viene patita dal soggetto, a causa della lesione alla salute, fintanto che non venga ritenuto dai medici clinicamente guarito; si tratta quindi del periodo di tempo occorrente per la somministrazione delle cure necessarie a ristabilire il paziente per il suo completo recupero psicofisico. A tale periodo può conseguire o il ripristino della condizione di salute antecedente il sinistro/malattia (nel caso in cui dalla terapia non permangano condizioni menomative) oppure la definitiva stabilizzazione delle condizioni invalidanti (qualora, al termine delle terapie esitino menomazioni o condizioni peggiorative permanenti).

Se dunque è possibile legittimamente procedere a liquidare entrambe le voci di danno, sia “temporaneo” che “permanente”, in quanto il danno biologico può avere ad oggetto tanto l’invalidità temporanea (allorché la malattia risulti ancora in atto), quanto l’inabilità permanente (qualora, per converso, la malattia sia guarita, ma con postumi permanenti, residuati alla lesione), non appare dubitabile che tale liquidazione debba riferirsi a momenti differenti e quindi a diverse età del soggetto danneggiato.

Con la logica conseguenza per cui, nella liquidazione del danno biologico permanente, occorre fare riferimento all’età della vittima non al momento del sinistro ma a quello di cessazione dell’invalidità temporanea, perché solo a partire da tale momento, con il consolidamento dei postumi, quel danno può dirsi venuto ad esistenza e la menomazione della capacità psicofisica può, quindi, essere valutata – attesa la sua stabilizzazione – in relazione alla residua aspettativa di vita del soggetto.

Ecco spiegato perché la valutazione da parte del medico legale deve essere necessariamente eseguita una volta che i postumi si sono stabilizzati – quando cioè la patologia non è più migliorabile e le possibili cure e terapie sono esaurite. In quella sede, tuttavia, il medico legale, sulla base della documentazione medica e della anamnesi, potrà altresì liquidare l’inabilità temporanea precedente gli esiti invalidanti permanentie far confluire entrambe le valutazioni/liquidazioni nella relazione medicolegale.